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sabato 30 dicembre 2017

Running from the inside

Ha finito di piastrarsi i capelli da una decina buona di minuti, nel piccolo bagno della casa che le ha dato la banda per cui lavora. Non è molto grande, giusto un tre di stanze, divise tra camera da letto, soggiorno con angolo cucina e -appunto- il bagno.
Non è molto, ma di sicuro è meglio che vivere per strada al freddo, riscaldati solo dalla fiamma dei bidoni di metallo.

Alza il viso verso lo specchio, un poco scheggiato, appeso sopra il lavandino e l'immagine che viene riflessa è la propria. Un visetto da ragazzina, con i lineamenti lievemente paffuti, grandi occhi scuri e i capelli castani stirati che le ricadono davanti agli occhi in una frangetta obliqua. Alza le mani, se li sistema ancora in modo quasi maniacale, fino ad avere il risultato che ritiene essere perfetto.

D'improvviso la pelle incomincia a diventare a scaglie e ad assumere un colore innaturale, grigio. Come quello dei serpenti pallidi che strisciano nelle foreste o, peggio, sono rinchiusi nelle teche di qualche appassionato.
I lineamenti cambiano come se fossero modellati con la creta e, poco dopo, non è più il suo volto a fare capolino dallo specchio, ma quello di uno dei suoi compagni di lavoro.

Che poi... il suo volto, è ancora un termine che può usare?
Un mutaforma può pensare di possedere un proprio volto o più semplicemente è il volto più facile da indossare, come una tela bianca, in attesa dei prossimi lineamenti da spennellarvi sopra?
E ancora, il volto ti identifica? Ti rende chi sei veramente o l'identità stessa è scissa dai lineamenti base del proprio corpo?

La risposta, un tempo, sarebbe stata facile e molto ovvia: l'identità è unica, personale, indipendente dal proprio aspetto.
Di fatto, dopo essere stata nella pelle di decine di persone diverse,  lei non ne è più così sicura.
E, in verità, non è neanche sicura di voler scoprire davvero cosa è rimasto adesso dell'originaria Abigail Norton. Di aprire il Vaso di Pandora.

Il pensiero la manda nel panico e istintivamente continua a trasformarsi senza controllo, sempre più velocemente e senza neanche pensare a chi sta impersonando. Compagni recenti, conoscenti lontani, gente a cui si è affezionata solo per un attimo e altra che ha odiato con tutta l'anima.
Corre freneticamente tra i volti altrui cercando di sfuggire all'Oscurità che sente risalire dall'anima, ma non è una lotta che può vincere. Scappare da se stessi è una sfida persa in partenza.

La trasformazione rallenta quando la figura riflessa le assomiglia troppo, ha i suoi stessi lineamenti ed è qualcosa che la lascia spiazzata. Si avvicina allo specchio e scopre i dettagli che l'hanno ingannata: non è lei, è sua madre. E non è amore quello che prova nel petto, ma indifferenza.
Trattiene il fiato come se dovesse andare in apnea e la trasformazione si stabilizza definitivamente sulla figura di suo padre, con cui condivide il colore dei capelli e il viso stanco. Lo guarda riflesso, anzi no.. guarda una parte di sé. E non è amore quello che prova nel petto, ma odio.

Sente la trasformazione ruggire dentro le proprie vene per agire ancora, per portare alla luce un altro viso mai dimenticato. Lo percepisce nelle corde dell'anima e si piega in avanti sul lavandino portandosi una mano allo stomaco e poco dopo l'altra sulle labbra, come a tacere il singhiozzo che tenta di risalirvi. Gli occhi si fanno lucidi e un paio di lacrime le scivolano ai lati del viso, ancora prima che possa razionalizzare e chiudere quella pericolosa scatola dei ricordi.

Si obbliga a riprendere il controllo di se stessa, fa un respiro più profondo e malsano, si cancella le lacrime con la manica della felpa e torna a guardarsi allo specchio.

Si guarda per qualchelungo istante, guarda la faccia di Abigail Norton, e ciò che prova è solo vuoto.